lunedì 14 luglio 2014

La nuova "Eva"

EVA
Questo mio quadro si intitola appunto Eva.
Costituisce la mia personale interpretazione della prima donna. Una donna emancipata, che del frutto del peccato se ne fa persino un'acconciatura. Le mele grondano un succo dolce che lei lecca sfacciata. La donna oggi ha il vero potere di cambiare le dinamiche sociali, però non deve appiattirsi e sottostare alla mentalità maschile. 
CARO GESU'

La Teoria della Causa

Il mio problema cardine è che non sopporto gli altri esseri umani. Penso, con tutta franchezza, che chiunque direbbe la stessa cosa, perché quasi la totalità dei problemi nella vita sono sempre di natura relazionale; nel rapporto con gli altri, nascono i problemi che da sempre affliggono la storia.
Fatta questa premessa, la domanda naturale è: come posso coesistere con gli altri serenamente e nella felicità?
Quando ci relazioniamo agli altri, osserviamo le reazioni dell’interlocutore e vediamo la sua immagine. Essendo noi strutturati in modo da dover percepire il mondo solo con sensi esterni, cioè con gli occhi che guardano fuori di noi, con il naso che sente gli odori dell’ambiente, con il tatto che tocca gli oggetti ecc. siamo abituati a dare dei giudizi, in quanto non possiamo vederci materialmente dentro di noi e quindi la pagliuzza nell’occhio del vicino per forza sarà sempre più grande della trave che sta nel nostro occhio. E per quanti sforzi faremo di guardare dentro di noi, se lo faremo, per la maggior parte delle volte sarà stato solo il frutto dell’educazione a questa osservazione, cioè non avremo visto dentro di noi veramente, ma semplicemente avremo risposto a un consiglio o a un ordine o a un altro giudizio di un’altra persona che ci avrà spinto in quella direzione e noi avremo assecondato magari umiliandoci e ritenendoci sbagliati, per mezzo di schemi mentali volti ad imitare comportamenti ed azioni ritenuti giusti nella cultura della società a cui apparteniamo.
Perciò, come posso guardarmi dentro se non ho gli strumenti per farlo? E inoltre non posso chiederlo ad altre persone, perché non sono me e mi darebbero solo consigli culturali?
In realtà non dobbiamo affatto osservarci dentro, perché dentro non c’è niente che già non ci sia fuori. Solo che noi distinguiamo tra dentro e fuori, tra individuale e collettivo, tra me e te. Questa distinzione crea il primo dissidio.
Il secondo è la reazione che in me si produce di fronte al comportamento del mio interlocutore: immediatamente metto in atto una serie di schemi mentali culturali e produco giudizi frutto di questi schemi, che mi fanno reagire determinando effetti convulsivi del tipo: un atteggiamento snob = mi sei antipatico, ecc.
Il fatto è che noi siamo abituati a vedere solo l’effetto e mai ci poniamo nella direzione della causa; ad esempio, perché è snob? Ma ci accontentiamo solo di verificare se il comportamento o altro del mio interlocutore sia o meno congruente con i miei schemi mentali e se è così è mio amico altrimenti nemico; perché per rispondere a stimoli sempre più frenetici, non importa spendere troppe energie, è più comodo soffermarci alla prima impressione e chiudere la partita con un giudizio sbrigativo e sintetico: lui è uno stronzo, ad esempio.
Come uscirne?
Mentalmente poniamo un altro noi davanti all’interlocutore: questo assorbirà immediatamente l’effetto (cioè la reazione fisica e spirituale al comportamento e all’immagine dell’interlocutore). Noi siamo dietro le spalle del nostro io fittizio e osserviamo distaccati, perché non stiamo partecipando ad esempio alla conversazione, senza veemenza o altro sentimento. Siamo calmi, osserveremo che siamo straordinariamente calmi e potremo vedere l’energia che giunge dall’interlocutore che effetti benefici o negativi sta determinando ad esempio sul nostro corpo.
Poi chiediamoci: qual è la causa di questo effetto? Perché l’interlocutore sta reagendo così?
Ma non fermiamoci solo a questo… Andiamo a ritroso ancora, a quel confine che c’è dietro l’interlocutore, lì dove l’individualità è talmente labile che è prossima al tutto: come quando fissando un albero, poi decidiamo di fissarlo da una vetta e esso appare immerso nel paesaggio tra tanti altri alberi e perciò stiamo in realtà confondendolo sempre di più con il bosco man mano che saliamo sempre di più. Insomma, arriviamo al punto in cui l’interlocutore è solo un essere umano come me, senza più osservare le caratteristiche superficiali che costruiscono l’individualità del mio interlocutore. A questo punto la reazione che io avrò di fronte alla reazione dell’interlocutore sarà la compassione: cioè, risponderò non a un individuo ma a tutto l’universo e davanti avrò l’intero universo e non solo una sua parte, perché attraverso quella parte in realtà sto comunicando con il tutto che passa attraverso l’individualità.
La compassione distrugge così l’ego, che esiste perché serve a compensare ciò che mi manca: cioè l’amore e il riconoscimento dell’amore universale. Allora dico io per dichiarare che mi manca qualcosa; ma se sono oltre l’individualità cos’altro mi può mancare? Nulla, perché al tutto non manca niente. Abbraccio, ma non abbraccio te; in realtà attraverso te (che sei un mezzo) abbraccio il tutto. Poi, come posso verificare di essere nella totale compassione?
Lo sarò quando avrò determinato un orientamento dell’energia cosmica a mio vantaggio. Cioè, l’universo si farà carico del mio benessere attraverso la mia compassione.
Esempio: Gesù veniva ospitato e sfamato senza lavorare. Lo stesso valse per Buddha e per tutti gli altri Maestri Spirituali. Cioè l’universo crea le condizioni affinché l’individualità sia sempre nella benevolenza della collettività perché quell’individualità esprime e direi è la collettività.
Quindi quando Gesù diceva di non preoccuparsi dei beni materiali, ma di creare bene verso Dio, intendeva che nella compassione il tutto sfama il tutto (che l’individualità compassionevole veicola).
GIANCARLO GIUDICE


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