EVA
Questo mio quadro si intitola appunto Eva.
Costituisce la mia personale interpretazione della prima donna. Una donna emancipata, che del frutto del peccato se ne fa persino un'acconciatura. Le mele grondano un succo dolce che lei lecca sfacciata. La donna oggi ha il vero potere di cambiare le dinamiche sociali, però non deve appiattirsi e sottostare alla mentalità maschile.
CARO GESU'
La Teoria della Causa
Il
mio problema cardine è che non sopporto gli altri esseri umani. Penso, con
tutta franchezza, che chiunque direbbe la stessa cosa, perché quasi la totalità
dei problemi nella vita sono sempre di natura relazionale; nel rapporto con gli
altri, nascono i problemi che da sempre affliggono la storia.
Fatta
questa premessa, la domanda naturale è: come posso coesistere con gli altri
serenamente e nella felicità?
Quando
ci relazioniamo agli altri, osserviamo le reazioni dell’interlocutore e vediamo
la sua immagine. Essendo noi strutturati in modo da dover percepire il mondo
solo con sensi esterni, cioè con gli occhi che guardano fuori di noi, con il
naso che sente gli odori dell’ambiente, con il tatto che tocca gli oggetti ecc.
siamo abituati a dare dei giudizi, in quanto non possiamo vederci materialmente
dentro di noi e quindi la pagliuzza nell’occhio del vicino per forza sarà
sempre più grande della trave che sta nel nostro occhio. E per quanti sforzi
faremo di guardare dentro di noi, se lo faremo, per la maggior parte delle
volte sarà stato solo il frutto dell’educazione a questa osservazione, cioè non
avremo visto dentro di noi veramente, ma semplicemente avremo risposto a un
consiglio o a un ordine o a un altro giudizio di un’altra persona che ci avrà
spinto in quella direzione e noi avremo assecondato magari umiliandoci e
ritenendoci sbagliati, per mezzo di schemi mentali volti ad imitare
comportamenti ed azioni ritenuti giusti nella cultura della società a cui
apparteniamo.
Perciò,
come posso guardarmi dentro se non ho gli strumenti per farlo? E inoltre non
posso chiederlo ad altre persone, perché non sono me e mi darebbero solo
consigli culturali?
In
realtà non dobbiamo affatto osservarci dentro, perché dentro non c’è niente che
già non ci sia fuori. Solo che noi distinguiamo tra dentro e fuori, tra
individuale e collettivo, tra me e te. Questa distinzione crea il primo
dissidio.
Il
secondo è la reazione che in me si produce di fronte al comportamento del mio
interlocutore: immediatamente metto in atto una serie di schemi mentali
culturali e produco giudizi frutto di questi schemi, che mi fanno reagire
determinando effetti convulsivi del tipo: un atteggiamento snob = mi sei
antipatico, ecc.
Il
fatto è che noi siamo abituati a vedere solo l’effetto e mai ci poniamo nella
direzione della causa; ad esempio, perché è snob? Ma ci accontentiamo solo di
verificare se il comportamento o altro del mio interlocutore sia o meno
congruente con i miei schemi mentali e se è così è mio amico altrimenti nemico;
perché per rispondere a stimoli sempre più frenetici, non importa spendere
troppe energie, è più comodo soffermarci alla prima impressione e chiudere la
partita con un giudizio sbrigativo e sintetico: lui è uno stronzo, ad esempio.
Come
uscirne?
Mentalmente
poniamo un altro noi davanti all’interlocutore: questo assorbirà immediatamente
l’effetto (cioè la reazione fisica e spirituale al comportamento e all’immagine
dell’interlocutore). Noi siamo dietro le spalle del nostro io fittizio e
osserviamo distaccati, perché non stiamo partecipando ad esempio alla
conversazione, senza veemenza o altro sentimento. Siamo calmi, osserveremo che
siamo straordinariamente calmi e potremo vedere l’energia che giunge dall’interlocutore
che effetti benefici o negativi sta determinando ad esempio sul nostro corpo.
Poi
chiediamoci: qual è la causa di questo effetto? Perché l’interlocutore sta
reagendo così?
Ma
non fermiamoci solo a questo… Andiamo a ritroso ancora, a quel confine che c’è
dietro l’interlocutore, lì dove l’individualità è talmente labile che è
prossima al tutto: come quando fissando un albero, poi decidiamo di fissarlo da
una vetta e esso appare immerso nel paesaggio tra tanti altri alberi e perciò
stiamo in realtà confondendolo sempre di più con il bosco man mano che saliamo
sempre di più. Insomma, arriviamo al punto in cui l’interlocutore è solo un
essere umano come me, senza più osservare le caratteristiche superficiali che
costruiscono l’individualità del mio interlocutore. A questo punto la reazione
che io avrò di fronte alla reazione dell’interlocutore sarà la compassione:
cioè, risponderò non a un individuo ma a tutto l’universo e davanti avrò
l’intero universo e non solo una sua parte, perché attraverso quella parte in
realtà sto comunicando con il tutto che passa attraverso l’individualità.
La
compassione distrugge così l’ego, che esiste perché serve a compensare ciò che
mi manca: cioè l’amore e il riconoscimento dell’amore universale. Allora dico io per dichiarare che mi manca qualcosa;
ma se sono oltre l’individualità cos’altro mi può mancare? Nulla, perché al
tutto non manca niente. Abbraccio, ma non abbraccio te; in realtà attraverso te
(che sei un mezzo) abbraccio il tutto. Poi, come posso verificare di essere
nella totale compassione?
Lo
sarò quando avrò determinato un orientamento dell’energia cosmica a mio
vantaggio. Cioè, l’universo si farà carico del mio benessere attraverso la mia
compassione.
Esempio:
Gesù veniva ospitato e sfamato senza lavorare. Lo stesso valse per Buddha e per
tutti gli altri Maestri Spirituali. Cioè l’universo crea le condizioni affinché
l’individualità sia sempre nella benevolenza della collettività perché
quell’individualità esprime e direi è la collettività.
Quindi
quando Gesù diceva di non preoccuparsi dei beni materiali, ma di creare bene
verso Dio, intendeva che nella compassione il tutto sfama il tutto (che
l’individualità compassionevole veicola).
GIANCARLO GIUDICE
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