mercoledì 20 agosto 2014

La Presenza
(30x20 cm tecnica mista su compensato)

Ecco un mio resoconto del viaggio che mi portò nell'aprile del 2009 a Medjugorie:

Medjugorje

Innamorato del cielo
quante volte ho elevato
le nuvole a mie compagne
di gioco.

Sulla collina dove è apparsa
la Madre Celeste
quante lodi di nuvole
d’ovatta.

Medjugorje è una cittadina dell’Erzegovina dall’aspetto totalmente insignificante.
La parte nuova è compresa nella pianura ed è costituita da case basse, quasi tutte pensioni, che circondano una chiesa dal doppio campanile (che ricorda il santuario di Fatima), i soliti negozi di cianfrusaglie sacre e i bistrò dove per 5,00 euro – in un unico piatto – mangi pesce o carne fritta, patate fritte e lesse e verdure con riso; infine una torta dello spessore di 8 centimetri al cioccolato o alla gelatina di crema. Il centro si sviluppa lungo la strada statale che passa davanti alla chiesa e si divide a “y”.
Dietro queste case di campagna cominciano i campi arati, dalla terra rossa come piccoli campi da tennis, affiancati gli uni agli altri senza un preciso ordine, come le case; e dal momento che l’orizzonte, grazie alla pianura, alle dimensioni delle case e dei campi, è piuttosto basso, qui la terra sta davvero sotto il cielo.
Poi la pianura si interrompe con le colline che assomigliano più a dune di pietra grigia e terra rossa con i cespugli secchi o bruciacchiati o piuttosto esse assomigliano ad accumuli di ammassi di pietra appuntita di una qualche cava.

In  questo posto totalmente insignificante, si dice che sia apparsa la Madonna.

Sul traghetto per Spalato avevo portato con me un taccuino con alcuni appunti: un passo del Vangelo di Luca, nel quale si racconta dell’Annunciazione dell’Angelo e la risposta di Maria: Sia fatta la Sua volontà; qualche messaggio della Madonna a Medjugorje, che terminano sempre con la medesima frase: Grazie per aver risposto alla mia chiamata; e infine, qualche informazione scaricata da Internet giusto per farmi una prima idea del luogo che stavo per visitare.

Non immaginavo, seduto su quel sedile del traghetto Ancona – Spalato, quale collegamento sottintendessero quelle frasi – e se ce ne fosse uno – e in effetti cosa mi aspettasse realmente: avevo con me solo i biglietti di andata e di ritorno.

Tempo prima però erano avvenuti due fatti per me piuttosto singolari.

Nel primo caso, avevo sognato la Madonna scendere dal cielo con le braccia aperte e dirmi: “Leggi la sura nr. 69 del Corano!”.
Documentandomi scoprii che si trattava della sura dell’ora che sta per arrivare, nella quale Maometto facendo riferimento alla punizione divina e all’arca di Noé e agli errori interpretativi dei testi sacri precedenti al Corano, rinnova l’invito al cambiamento spirituale in virtù di un giudizio universale che prima o poi arriverà; da qui il tempo dell’ora. Nel versetto 50 infine si legge: Tu canta osanna al nome del Signore grandissimo.

Nel secondo caso, mi trovavo comodamente sdraiato sul divano del mio appartamento a guardare un programma pomeridiano condotto dal giornalista Sposini, il quale stava intervistando un altro giornalista, Paolo Brosio, che raccontava del suo recente viaggio a Medjugorje e quanto quest’ultimo lo avesse profondamente cambiato; i suoi occhi, ripresi dalla telecamera con molta attenzione, mi colpirono particolarmente, leggendovi sembrava un’infinita serenità.
Così avvertii una voce interiore che mi disse di fare la stessa cosa.
All’episodio non diedi poi molta importanza. Arrivò la sera e mi misi a letto. Qualcosa mi girava nella mente rendendomi impossibile addormentarsi. Lo stesso fenomeno si ripeté anche la sera seguente. Infine, parlando a me stesso, dissi: - Ho capito, andrò a Medjugorje. –

Questo è ciò che precedette la mia partenza. Il resto fu spirito di curiosità e il piacere di ritrovarmi da solo – come mi capita spesso – e di condividere con gli estranei le varie scoperte.

Sul traghetto mi aggregai infine quasi immediatamente a un gruppo di pellegrini guidati da don Tiziano e da una donna di mezza età, Anna, dall’accento marchigiano e miracolata dalla Madonna di Medjugorje; entrambi si resero disponibili a darmi una mano.

A Spalato, salii così nell’automobile di una famiglia composta da marito e moglie e la figlia, Gioia, affetta da sclerosi multipla e con uno sguardo vivace nonostante il viaggio in traghetto tutt’altro che confortevole.

Partimmo quasi subito per Medjugorje con la sensazione di essere immersi in un’atmosfera che non avrei potuto dimenticare. Ora mi raccontavo a quella famiglia come se l’obiettivo che ci portava in quei luoghi ci rendesse meno insignificante la considerazione ovvia – per noi – che la Madonna è una madre che chiama i figli che desiderano sentirla.

Il mare era uno specchio grigio – per via del mal tempo – e mi sembrava che il paesaggio fosse meno affascinante rispetto a tutte le volte che lo avevo visto in estate nell’aria fosforescente e nel sole della canicola.

Ben presto però salendo lasciammo il mare per entrare nelle montagne regolari, grigie, di pietra spigolosa, di cespugli secchi e con molti casolari abbandonati durante la recente guerra.
Vedevo i cimiteri allestiti un po’ ovunque, i cumuli delle fosse comuni, mentre salendo le vette erano sempre più vicine e il mare un lago che si insinuava nella roccia grigia. 

Passammo la dogana croata e poi quella bosniaca attendendo il pullman con gli altri pellegrini in mezzo alla campagna e ai cespugli di fragole in fiore nel timore che la polizia bosniaca potesse chiedere una mancia. Ma ciò non avvenne e rimontammo in auto notando che in questa eterna campagna – anche quando passavamo per qualche villaggio – c’erano merciedes ovunque, parcheggiate o in movimento e di tutti i colori.
- E’ perché così è più facile procurarsi i pezzi di ricambio. – mi fece notare Antonino alla guida e fissandomi attraverso lo specchietto retrovisore.

Arrivammo a Medjugorje per l’ora di pranzo. E non provai nessuna sensazione particolare fissando la chiesa dal doppio campanile, la cui architettura – abituato ai monumenti italiani – mi sembrò piuttosto dozzinale. Dall’altra parte della strada c’erano i bistrò e i negozi di cianfrusaglie sacre e da quest’altra parte invece le pensioni.
Quasi subito salutai la famiglia e promisi a Gioia che non sarei sparito con un occhiolino che lei mi ricambiò, mentre Antonino l’aiutava a sedersi sulla sedia a rotelle.

Attraversai la strada piuttosto affollata e seguii una prima indicazione. In un vicolo parallelo al piazzale del duomo, tra pensioni ancora in costruzioni, lessi l’insegna: pansion Dina.

Si trattava di una casa su due elevazioni, del tutto simile alle altre, anche a quelle in costruzione, con una piccola veranda con qualche pianta. La porta era semplicemente socchiusa e oltre, una donna corpulenta mi mostrò la chiave e con le dita mi disse che voleva 20,00 euro per notte, ma con il bagno in camera e l’acqua calda ma senza colazione inclusa.
Accettai e salii immediatamente in camera per fare una doccia.

Mentre disfacevo lo zaino, ripensai alla pace del santuario – visitato durante il tragitto – chiamato La piccola Lourdes, per via della somiglianza incredibile con l’originale e dove si dice che anche qui sia apparsa l’Operaia della Pace – come la chiamo io.
Velocemente avevo riempito le bottigliette con l’immagine della Madonna per i miei affetti nella fontanella votiva, mentre Antonino camminava tenendo Gioia ferma al petto e aiutandola a portare avanti un piede alla volta.
- Io noon soon puur… - mi aveva detto lei in auto ad un certo punto.
- Cosa? Non ho capito, scusa! – avevo risposto aspettando una traduzione.
- Ha detto che lei non è neppure un chiodo della croce di Cristo. Facci l’abitudine; ogni tanto se ne esce con questi pensieri che don Tiziano ha consigliato di trascrivere tutti. –
- Bel pensiero. – dissi allora fissando quei grandi occhi che insieme alla bocca si sforzavano di pronunciare la prossima frase.

Dopo la doccia, raggiunsi il duomo.
Ai lati dello stesso c’erano 7 o 8 file di panchine, per permettere a tutti di ascoltare la messa con l’altoparlante quando la chiesa era gremita; alle spalle un gazebo bianco utilizzato durante il festival dei giovani, che mi pare si tenga in estate; e di fronte una passeggiata con ai lati le stazioni della via crucis, una piazzetta con un crocifisso forse in bronzo, dal cui ginocchio destro, l’ho visto anche io, fuoriesce continuamente del liquido leggermente oleoso, incolore e insapore; e per finire il cimitero del paese circondato già dalla campagna.

Ma la mia attenzione era rivolta invece alla collina dell’apparizione. Per cui, con una piantina scaricata da Internet e seguendo alcuni cartelli stradali, cominciai a passeggiare seguendo quasi subito un sentiero tracciato semplicemente dal passaggio di chissà quanti piedi tra le case basse e i campi da tennis, tra qualche bancarella artigianale.

La collina dell’apparizione ora era di fronte a me: del tutto identica alle altre, sembrava un accumulo di pietra appuntita e grigia con pochi cespugli legnosi. E già si intravedeva il punto preciso della visione, a causa di una statua di marmo di Carrara, posta da una famiglia buddhista in seguito a una guarigione inspiegabile, e nonostante il divieto della curia e della stessa Madonna, secondo la quale quella collina deve restare così com’è, perché quando Lei deciderà di non tornare più, ha promesso nel 3° dei 10 segreti ( e ancora tali! ) di lasciare un segno indelebile e a tutti visibile, soprattutto a chi non ha creduto a queste apparizioni.

Di fronte a me c’era una fila di pellegrini, ma non tantissimi, forse per via del tempo instabile      (parecchie nuvole stavano cominciando ad ammassarsi, anche se il sole era ancora ben visibile ), o perché erano i giorni successivi alla Pasqua e la folla c’era già stata.
Ad un certo punto vidi che molte persone, anche quelle che avevano raggiunto la collina, indicavano il cielo e più precisamente il disco solare.
Io mi volsi, e tranne che notare un cielo straordinariamente luminoso e dei dardi di luce, come lampi, apparire tra i cumuli (ma poteva trattarsi benissimo di riflessi causati dall’esposizione prolungata degli occhi alla luce solare), proprio non vidi nulla di anormale. Perciò, mi avvicinai ad una donna che sentivo parlare in italiano e le chiesi che cosa stesse succedendo.
Lei mi rispose: - Sto vedendo nel disco solare un altro sole più scuro che gira velocemente intorno a se stesso; da questo escono dei raggi di vari colori: dorati, rossi e azzurri. – e mi indicò nuovamente il sole, che mi riapparve assolutamente normale.

Così continuai a camminare, fissando la statua di marmo farsi sempre più grande e ogni tanto il cielo per vedere se anche a me fosse concessa la visione del sole.

Quando mi trovai alle pendici della collina (e dopo aver superato alcune case più vecchie del centro e i soliti negozi di cianfrusaglie sacre), mi aggregai a un gruppo di anziani per ascoltare il discorso della guida, che subito capii era del posto.

Si trattava di una ex compagna di classe di una dei 6 veggenti che vedono tutt’ora la Madonna; più precisamente questa donna conosceva Vicha, la più grande di età del gruppo: al tempo della prima apparizione, Vicha aveva 17 anni.
Man mano che salivamo, pregando a ogni stazione (e la guida leggeva sempre alla fine un messaggio della Madonna, che invitava alla pace e alla preghiera soprattutto), nel frattempo ci spiegava alcune cose.
Ad esempio, ci disse che la collina era stata lasciata così brulla e con il passaggio piuttosto impervio, per diretta richiesta della Madonna, che anzi ora era anche più largo, ma nel 1981, non esisteva e che quando i veggenti andarono in paese urlando di aver visto la Madre Celeste, tutti erano accorsi, passando tra i cespugli alla meno peggio, fino al luogo indicato e che immediatamente il giorno stesso un fiume di persone era accorso dai paesi circostanti. E così i giorni seguenti fino a quando il regime autoritario allora al governo, temendo che il fenomeno potesse contrastare l’ordine pubblico, cominciò a vietare il passaggio ai pellegrinaggi; furono poste delle guardie alle pendici della collina, ma esse si convertivano ogni volta; allora il governo pensò di prelevare ogni giorno i 6 ragazzini, che venivano interrogati e minacciati, poi abbandonati in un paese vicino, per cui loro dovevano far ritorno a casa a piedi e al buio; e il giorno seguente li prelevavano nuovamente per interrogarli e minacciarli.
Lei raccontava queste cose con molta concitazione.    

Sulla collina si sentiva il silenzio, il profumo di erba e vedevo la pianura rossa e verde marcio con il duomo e le pensioni intorno e sospiravo per la profonda serenità.

Infine, la guida ci disse che dal quel momento lei ci avrebbe lasciato raggiungere il punto dell’apparizione, ma chiedeva silenzio.

Così noi ci avviammo tutti verso il punto; e io mi meravigliai come molte donne veramente in là con l’età riuscissero (anche scalze) a camminare tra quei sassi appuntiti senza cadere.

Poi eccoci tutti davanti a nostra Madre; i suoi figli erano lì a renderLe omaggio; arrivati da strade interiori differenti, eravamo tutti intorno a Lei per condividere un momento di raccoglimento. E anche io – non mi vergogno a dirlo – piansi per la commozione e pregai.

Inviai a tutta la rubrica del mio cellulare lo stesso messaggio (Sono a Medjugorje e sto pregando anche per te); i miei affetti mi risposero ringraziandomi e chiedendo l’intercessione. 

Quante persone e quanti percorsi!
Osservai per 3 ore – seduto su un sasso levigato – le persone che arrivavano e poi si inginocchiavano davanti al recinto metallico che circondava la statua bianca.

Poi quando il sole rosso passò dietro l’ultima collina, mi alzai per tornare lentamente in paese. Alle pendici della collina si era riunita una folla intorno ad una di quelle case, con il terrazzino e la staccionata. Mi avvicinai a un gruppo di italiani e chiesi informazioni.

Sul terrazzino c’era Vicha che stava pregando per i pellegrini.
Così mi feci largo tra i corpi – e rimanendo sulla strada – vidi una donna molto minuta vestita semplicemente, in ginocchio con le mani giunte davanti alla bocca e gli occhi rivolti verso il cielo.
Muoveva la bocca sempre nel sorriso e le parole non erano udibili; ma quando recitava il Padre Nostro o l’Ave Maria allora tornava la voce; poi lei si girava lentamente fissando la folla che pregava con i volti bassi.

Qualcuno mi disse alle spalle che quando Vicha fa così, sta passando in rassegna le esistenze di ognuno di noi e di ognuno ricorda ogni cosa anche a distanza di tempo…

La preghiera era stata lunga, commentò una donna alla mia sinistra.
Vicha nel frattempo si era alzata e la folla oscillava freneticamente per cercare di parlare o di toccare la veggente, che restava sul terrazzino dietro alla ringhiera per non farsi travolgere dai corpi che ora spingevano molto.
Poi seppi che tempo prima la donna aveva subito la distorsione della spalla e che aveva dovuto restare a letto per 9 mesi.

Chissà, forse era stato allora che aveva ricevuto l’ennesima visita inattesa dalla Madre Celeste; si era scoperchiato il tetto dell’abitazione – c’era anche un altro veggente, di cui non ricordo il nome – e tutti e 3 avevano visto il Paradiso, il Purgatorio e l’Inferno, riattualizzando così una rappresentazione ritenuta ormai datata.

Io mi feci largo alla meno peggio tra la folla che spingeva sempre di più e arrivai davanti al terrazzino, sul cortile interno alla casa bassa per vedere meglio la donna magra e il viso; e in effetti, lei aveva un viso molto sereno, gli occhi luminosi e un sorriso rassicurante.
C’era chi le passava delle lettere, chi la baciava e chi le stringeva la mano; ma molti spingevano e allora si alzavano le voci, chi cercava di uscire dall’ammasso di corpi per non soffocare e una donna ricordò con tono piuttosto severo che Vicha non era differente da tutti noi, perché tutti noi eravamo lì solo per la Madonna.

Alla fine anche io strinsi la mano, incoraggiato da una signora anziana del gruppo di don Tiziano sbucata da chissà dove. E quando strinsi la mano di Vicha sentii una scossa elettrica passare per tutta la lunghezza del mio braccio.

L’indomani seguii il gruppo di pellegrini per un tour che prevedeva di incontrare gli orfani della recente guerra nell’orfanotrofio di suor Cornelia e poi il Cenacolo di suor Elvira che ospita ragazzi ex tossicodipendenti.
Il dolore della storia si incontra sempre con la spiritualità e vivere in comunità simili deve essere davvero difficile, come ci testimoniò Francesco, raccontandoci della vita presso il Cenacolo, scandita dal rosario e dalle attività.

Ma il mio interesse era anche un altro.
Da anni conduco studi volti a fare interagire le differenti religioni; quindi mi interessava vedere anche Mostar, dallo storico ponte, luogo di incontro, che unisce la costa con l’entroterra dell’Erzegovina,  e sbocco della via commerciale che dal mare passa al resto dell’Europa; città divisa in 2 anime: quella turca e quella cristiana; e dopo le 22.00 la perfetta dualità viene ribadita al punto che un cristiano non può passare dall’altra parte e viceversa.
Città profondamente colpita dalla recente guerra; il ponte è stato distrutto e ricostruito e i palazzi e le moschee bombardate.

Ma gli odi – come spesso succede – celano somiglianze troppo scomode, celate dal bisogno di affermare un’identità precisa e non un obiettivo comune.
Così anche nel Corano la Madonna è citata come madre di Gesù, la madre vergine – ma in una visione a mio avviso piuttosto mistica – e in un numero maggiore di volte che nei Vangeli canonici, nei quali Maria è soprattutto inquadrata come ventre e tramite per permettere il passaggio fisico di Dio nel mondo; mentre nei messaggi di Medjugorje, Lei acquisisce una funzione attiva nel realizzare, come emisfero femminile, e assieme a Gesù, l’emisfero maschile, la determinazione di Dio.
Non più solamente una tramite, ma piuttosto una forza attiva (la sfera femminile dell’umanità), che fondendosi con la sfera maschile (Gesù) determina Dio nella vita dell’umanità.

Giunsi allora in quella cittadina grazie a un passaggio di un uomo anziano, nella sua merciedes; lui appena mi sorrise, senza poi più rivolgermi la parola, ascoltando una litania in lingua araba – almeno così mi sembrò – e fumando parecchie sigarette con il finestrino chiuso.
Perciò fissai il paesaggio per tutto il tempo: montagne sempre più alte e aspre, villaggi abbandonati e semidistrutti, i cimiteri con le fosse comuni e i grandi corsi d’acqua molto fluida tra le rocce levigate e grigie.

Poi l’uomo si girò verso di me e fece cenno alla cattedrale di cemento, che indicava il quartiere cristiano di Mostar. Ringraziai e scesi dall’automobile.

Il centro storico turco con il ponte e le moschee non era molto distante.
Il ponte era un unico braccio con un arco molto acuto – come il ponte di Rialto – bianco e con le torri, le sentinelle della struttura, che è fatta totalmente in pietra bianca e sovrasta il fiume Neretva, impetuoso tra i fianchi della gola, e sembra pettinare la vegetazione che appena è visibile sul pelo dell’acqua, come i corsi di Treviso.

Dal ponte un ragazzo in costume vi si tuffava, salutando i pochi turisti che si affacciavano ai parapetti del ponte, mentre lui si lasciava trascinare dalla corrente per poi raggiungere la riva sinistra, di pietra e delimitata da case bianche e basse ammassate l’una sull’altra.
A destra del ponte c’erano delle piccole case, stanze singole con porte di legno, allestite a mo’ di bar, dove il ragazzo in costume e altri con la tipica barba islamica bevevano il caffè, che versavano in tazze di rame, nelle quali restava sul fondo la posa del caffè.
Anche io ne bevvi uno, mentre un ragazzo mi mostrava un libro con le foto del ponte distrutto dai bombardamenti o i palazzi forati dalle palle dei cannoni.

Poi passeggiai e fissai i mausolei e le cupole delle moschee; visitai l’interno della moschea di Karadoz – beg. Il quartiere storico con i mercati e il passaggio di qualche donna con il burka, che mi spaventò. E infine ascoltai una lezione di Corano in una scuola elementare sul tappeto e in un angolo dopo aver pregato l’insegnante dicendo che non avrei dato fastidio:
- E cosa spiega? – gli chiesi in italiano perché lui lo parlava.
- La sura nr. 69 –.

Uscii da quella scuola avvertendo una strana nostalgia, che non saprei definire, come una reminiscenza di cose già sentite e amate molto tempo fa.

Anche qui cimiteri e cumuli di terra e le date della morte indicavano sempre gli anni 1993 o 1994.

Passai allora nel quartiere cristiano quando cominciò a piovere più insistentemente; nella cattedrale di cemento assistetti a un battesimo, mentre con il cellulare mandavo messaggi pieni d’amore verso Dio a mia madre, che voleva essere informata minuto per minuto.

Alla fermata dell’autobus attesi per circa un’ora, nonostante l’invito di un uomo del posto ad attendere con fiducia.

Cominciai a camminare in direzione della periferia, che si spingeva verso quartieri residenziali aggrappati alle pendici della montagna piena di vegetazione.
Feci l’autostop senza grossi risultati. Ma questa volta non avevo con me ne il cappello e neppure l’ombrello; la pioggia si faceva pungente e stava salendo la nebbia dall’asfalto che rendeva sfumati i contorni della strada.

Mostar era ora parecchio in basso in mezzo alla pianura che sembrava un lago nella nebbia per via dell’acquazzone.
Non ero per nulla ottimista e ad un certo punto, vedendomi solo, sul ciglio della strada, nella condizione di essere travolto da un’auto di passaggio e con il tramonto che sopraggiungeva, dissi a bassa voce:
- Non voglio morire -.

E quasi subito sorrisi, ripensando a tutte le volte che avevo affermato di non temere la morte; non si è mai pronti alla morte; e promisi che mai più avrei affermato il contrario.

Arrivò il passaggio!
Si fermò una merciedes guidata da un mio coetaneo, Vasilj, che mi disse di essere un operaio, che stava andando giusto a Medjugorje per ricevere una grazia e infine che non dovevo ringraziarlo perché era merito solamente della Madonna; io insistetti però nel ringraziare anche lui.
Tornammo indietro e io non parlai quasi per nulla.

Il giorno seguente mi aggregai al gruppo di pellegrini e nell’automobile della famiglia di Gioia raggiungemmo la chiesa Tihaljina, che contiene la statua della Madonna che riproduce perfettamente la visione di Medjugorje e ha un viso davvero molto intenso.

Don Tiziano, che fino ad allora avevo appena scorto sull’autobus o a parlare con Anna, per la prima volta lo ascoltai raccontare l’episodio della sua conversione spirituale, quando cioè proprio sull’altare di questa chiesa, aveva sentito la sua voce interiore rincuorare un grande dubbio esistenziale.

Poi toccò ad Anna raccontare della sua guarigione.

Lei era arrivata in questa chiesa su una barella perché malata di tumore alla mammella e in fin di vita.
Se non ricordo male, raccontò di aver visto una luce uscire dal tabernacolo dove c’erano le ostie, mentre il prete officiava la messa.
La statua di Cristo quindi si tolse un chiodo e sollevò la moribonda che miracolosamente guarì di lì a poco.

Avevo letto nel libro di don Tiziano, regalatomi dalla madre di Gioia, dell’amore per la Madre Celeste; in quel momento lessi una frase: “… il devoto innamorato, fissando lo sguardo di Maria, … desidera come Lei ripetere il suo sì: atto d’amore, di totale donazione alla volontà del Padre …”.

Recitammo l’Ave Maria tenendoci tutti per mano e includendo anche la statua della Madonna, con le mani anche Lei leggermente in avanti e i palmi rivolti verso l’alto.

E intesi la prima delle 2 frasi che avevo portato con me: Sia fatta la sua volontà; intesi cioè che sentire Dio è un atto volontario, una decisione attiva che si tramuta in un abbandono poi alla marea della vita, alla sua imprevedibilità, come questo viaggio per nulla organizzato, per assaporare tutte le sorprese e le sensazioni.

E intesi infine la seconda frase: Grazie per aver risposto alla mia chiamata: la chiamata esiste indipendentemente dalla volontà dell’uomo di volerla sentire, rendendo il libero arbitrio in fondo vano essendo la vita giustificabile solo in Dio creatore; la intesi così quel giorno… lasciai il rosario tibetano che avevo al collo – regalatomi da 3 monaci tibetani durante un ritiro spirituale a Montecatini Terme – sul basamento della statua in segno di pace.

L’indomani partii per Spalato aggregandomi ancora alla famiglia di Gioia e promettendo che avrei spedito, una volta tornato a casa, il resoconto di questo viaggio.

Salutai i pellegrini al porto un’ora prima della partenza; mi trovai una camera in un appartamento di una donna anziana del posto; feci velocemente una doccia in un improbabile bagno da poco ristrutturato, e tornai di corsa al porto per salutare mentalmente la nave che al tramonto – rosso fuoco – partiva per l’Italia; io avevo altri 2 giorni per vedere Dubrovnik, Sarajevo e Trogir.

La nave partiva lentamente come la sera che sopraggiungeva; fissando quindi le stelle, rivolsi a me stesso questo sms, giunto dalla mia mente e chissà forse anche dalle stelle, e che dedico a tutti i miei affetti: L’amore è non scegliere mai, ma attendere che sia il tutto a scegliere come esprimersi nel nostro cuore.
 CON PROFONDO AFFETTO A TUTTI I FEDELI....

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