lunedì 1 settembre 2014

COMPARAZIONI MISTICHE: Le visioni delle sante tedesche: Ildegarda da Bingen e di Edith Stein, dal mio testo di religioni comparate e filosofie orientali "Sommo Creatore"


 1) Le visioni di Ildegarda da Bingen


Ildegarda di Bingen (Bermersheim, 1098 – Bingen, 17 settembre 1179) è una santa cattolica, veggente ma anche musicista, medico, scrittrice, cosmologa, drammaturga, guaritrice, botanica, linguista, filosofa, poetessa, artista, consigliera politica, oltre che badessa benedettina di Bingen. Fu la consigliera di potenti e persone comuni e nel suo epistolario diede soprattutto consigli spirituali. Visse al tempo di Federico Barbarossa. Fu una monaca controcorrente per l’impegno che profuse anche nella gestione del monastero. Personalità forte ed enigmatica, operò ispirata da visioni che l’accompagnarono fin da bambina.


Il primo testo profetico di Ildegarda (in ordine di tempo) si intitola: Scivias (Conosci la via); qui di seguito, presento un piccolo assaggio:


Dopo queste cose vidi una grandissima visione rotonda e oscura fatta a somiglianza di un uovo, stretto nella parte superiore, largo nel mezzo e ristretto di nuovo sul fondo; all’esterno di essa, per tutta la sua circonferenza, c’era del fuoco splendente, che aveva sotto di sé qualcosa come una membrana oscura”.


Questa visione è l’inizio di una serie di immagini che la monaca nel corso della sua vita vedrà dentro se stessa e fin dai primissimi anni; dopo ogni descrizione sia nello Scivias, che nelle opere successive, verranno sempre fatte seguire dei commenti autografi più o meno in linea con la concezione cosmologica e teoretica del Cristianesimo medioevale.


Allora si potrebbe risolvere tutta l’esperienza della veggente solo come una razionalizzazione immaginifica frutto delle influenze del proprio tempo?
Credo assolutamente di no, e in parte ciò dipende dal tono della narrazione:


“All’interno di questo fuoco vi era un globo di fuoco scintillante, di tale grandezza che tutta la visione ne veniva illuminata; questo aveva sopra di sé tre piccoli fasci posti ordinatamente uno sopra l’altro, che trattenevano con il loro fuoco di globo, affinché non si inclinasse.
Questo globo in certi momenti si levava in alto e una grande quantità di fuoco gli si faceva incontro, cosicché esso mandava più lontano le sue fiamme; talvolta si inclinava verso il basso, e un gran freddo gli veniva incontro, cosicché ritraeva velocemente da esso le sue fiamme.
Da quel fuoco che circondava la visione usciva un vento con i suoi vortici, e dalla membrana che era sotto di lui ribolliva un altro vento coi suoi vortici, che si diffondevano qua e là in questa visione.
All’interno di quella membrana vi era un fuoco tenebroso, così orribile che non potevo guardarlo, che la scuoteva tutta con la sua forza, pieno di rumore, di tempeste e di pietre acutissime, grandi e piccole.
Quando si levava il suo rumore, quel fuoco splendente e i venti e l’aria si agitavano, cosicché dei lampi precedevano il rumore: perché il fuoco per primo sentiva in sé l’agitazione provocata da quel rumore”.


Le immagini sono cariche di pathos non c’è dubbio e odorano di autenticità; chi legge avverte che si stanno muovendo delle corde esistenziali profonde come archetipi lasciati sopiti per molto tempo nella coscienza; un po’ come quando per la prima volta sono venuto a contatto con le teorie Buddhiste o quando ho letto la narrazione coranica o quella dei vangeli ortodossi: ho avvertito uno spirito d’originalità e il linguaggio mi è parso stupendamente moderno.


Del resto, da tempo ho imparato ad osservare il fascino di massa che determinati fenomeni assumono fin dalle prime avvisaglie (penso sempre a Lourdes o alla parabola di Padre Pio) e alla somiglianza di certi fenomeni che si ripetono come l’odore incredibile di fiori che emanava la tomba di Ildegarda i giorni successivi alla deposizione della salma (come per Padre Pio e per molti altri sensitivi).


Ildegarda impiegò 40 anni circa prima di rivelare le proprie visioni e immediatamente nacque intorno a lei un proselito e anche potenti laici le si avvicinarono per un consulto e persino persone di differente confessione (ebrei) verso i quali, nello specifico, con dolcezza Ildegarda cercò di convincerli che, pur essendo (come espresso nelle sue visioni) sinagoga e chiesa sullo stesso piano, la seconda ne rappresentava un’evoluzione della prima lungo una linea di continuità. Del resto era cristiana e non avrebbe mai potuto pensarla diversamente.


Qui si sostiene che l’interpretazione è umana ed è legata a un tempo ed a uno spazio (anche il Talmud, ad esempio segue un’evoluzione interpretativa della Torà).
Bisogna perciò abbracciare le visioni, tacendo per un attimo i commenti della sensitiva (non perché siano sbagliati ma per cercare di inquadrare le visioni secondo un’altra ottica) e seguendo una mia strana intuizione! paragonerò le immagini ad alcune teorie enunciate già in questo testo.


Ho in precedenza dichiarato che ogni confessione religiosa non va inquadrata in un puro commento razionalistico in quanto essa quasi sempre è rivelata per mezzo di profeti (sensitivi per me) che si mettono in contatto con i livelli superiori della coscienza e ne veicolano i contenuti come medium.
Il commento poi è personale e spesso è influenzato dalla cultura dominante, per cui un cristiano interpreterà una immagine alla cristiana e un mussulmano alla mussulmana. Come già si è detto prima.


Tornando alle immagini suggestive di Ildegarda, a me è parso di vedere rappresentato il big – bang.
L’uovo primordiale dal quale è partito tutto e il fuoco che circonda l’esplosione primordiale e il rumore e il boato che ne consegue a rompere il silenzio del nulla (0 – 0).
Ma ancora più in dettaglio ecco di seguito il racconto di Ildegarda:   


“Poi sotto quella membrana vi era un etere purissimo, che non aveva sotto di sé nessuna membrana, e all’interno di esso vedevo un globo di fuoco candido e molto grande, che aveva sopra di sé due piccoli fasci posti ordinatamente uno sopra l’altro, che trattenevano il globo, affinché non eccedesse la misura del suo corso.
E nello stesso etere erano state poste ovunque molte sfere luminose, in cui lo stesso globo talvolta faceva scorrere la sua luminosità svuotandosi alquanto; e poi, ritornando sotto il predetto globo di fuoco rosso e rinnovando da lui le proprie fiamme, di nuovo le inviava con un soffio verso le stesse sfere”.
Quindi dal big – bang primordiale, si cominciano a formare le prime stelle (molte sfere luminose) e l’aria (un etere purissimo) comincia a divenire più rarefatta, a causa della condensazione della materia in aggregati stellari.


Il racconto prosegue:

“Anche da questo etere si diffondeva un vento coi suoi vortici, che si espandeva in ogni parte della stessa che spandendosi di qua e di là portava umidità in tutta quanta la visione.
E questa umidità, aggregandosi tutta all’improvviso, produceva uno scroscio di pioggia con grande fragore; e diffondendosi lentamente, dava una pioggia leggera con molto lieve. Anche da qui un vento, che usciva coi suoi turbini, si diffondeva dovunque per la predetta visione. In mezzo a questi elementi vi era un globo sabbioso di grandi dimensioni, che gli altri elementi circondavano, in modo che potesse inclinarsi né da una parte né dall’altra”.


La materia si condensa sempre di più fino a liquefarsi in pioggia; nascono i primi pianeti sassosi sui quali precipita la pioggia, che li raffredda. Ma sono temporali molto violenti (uno scroscio di pioggia con grande fragore).
E infine i pianeti divengono globi sabbiosi per mezzo dell’erosione della pioggia, in mezzo agli altri elementi come l’aria e l’acqua nei suoi differenti stadi e la gravità ordina ogni elemento nel proprio giusto spazio nell’universo appena formatosi.


Infine:


“Ma dal momento che talvolta questi elementi si scuotevano a vicenda coi venti, di cui abbiamo parlato, facevano muovere alquanto con la loro forza quest’ultimo globo.
E vidi fra settentrione e oriente qualcosa come un monte altissimo, pieno di tenebre verso nord e pieno di luce verso est, cosicché né la luce poteva toccare le tenebre, né le tenebre potevano toccare la luce.
E udii una voce dal cielo che mi diceva: - Attraverso le cose visibili e temporali si manifestano quelle che sono invisibili ed eterne”.


E la forza di gravità da una parte, e il campo magnetico dall’altra, comincia a far muovere i pianeti e comincia ad alternarsi il giorno con la notte (un monte altissimo, pieno di tenebre verso nord e pieno di luce verso est, cosicché né la luce poteva toccare le tenebre…).
E la narrazione termina con un riferimento alla Genesi in cui si afferma che il mondo visibile è fatto a immagine del mondo dell’Aldilà, il quale si manifesta attraverso le cose visibili e temporali.
Si tratta quindi di immagini che intuitivamente parlano delle origini dell’universo, che agli occhi di una sensitiva del Medioevo furono necessariamente interpretate in chiave esoterica e spirituale, non possedendo le nozioni di cosmologia moderne. E perciò mi pare di poter affermare che nella coscienza umana è inscritta la storia dell’origine della realtà, che spesso si manifesta in immagini ispirate e immaginifiche e metaforiche, interpretate secondo gli stilemi della cultura dominante, in quel preciso contesto storico, proprio come fu per Ildegarda, la mia amata badessa sensitiva.

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Ildegarda fu anche una compositrice. La musica è il punto di congiunzione tra la matematica          (sfera della razionalità) con la l’emotività: la razionalità che ambisce all’irrazionalità.



2) Le visioni di Edith Stein


Pensami come un altro figlio
d’accudire di sapienza; da tenere
per mano attraversando la strada.
Chi ha atteso sa quanto richieda
cure la giovinezza di spirito.


Edith Stein (Breslavia, 12 ottobre 1891 – Auschwitz, 9 agosto 1942), fu ultima di 11 figli in una famiglia di origine ebraica ortodossa. Divenne atea a 13 anni. Studiò filosofia e psicologia presso le università di Breslavia, di Gottinga e infine di Friburgo. Fu un’allieva di Edmund Husserl; poi sua assistente. Nel 1916 conseguì il dottorato in filosofia. Durante una vacanza nel 1921 lesse l’autobiografia della santa mistica Teresa d’Avila: si battezzò, abbandonando ma solo formalmente l’Ebraismo. Quindi entrò nell’ordine delle Carmelitane; fu trasferita nel convento a Colonia nel 1934, assumendo il nome di Teresa Benedetta della Croce. Cominciò a redigere testi di impronta mistica. Cercò con l’intercessione del papa di bloccare la persecuzione razziale del regime nazista. Per questo motivo fu deportata ad Auschwitz con sua sorella Rosa; e lì morì senza lasciare alcuna traccia. Nel 1998 è stata canonizzata e l’anno successivo è stata dichiarata compatrona dell’Europa. 


Edith per me rappresenta l’altra faccia della medaglia del misticismo rispetto ad Ildegarda. Se quest’ultima vi si avvicina attraverso le visioni e i prodigi, quindi nel modo più classico, come ci ha insegnato la tradizione ad esempio biblica (vedasi i profeti; perciò Ildegarda diremmo oggi è una profetessa moderna); Edith abbraccia il misticismo attraverso le deduzioni filosofiche, quindi attraverso l’uso della sfera razionale. Per fare ciò ha però dovuto anche annullare ogni suo riferimento culturale precedente (nel suo caso l’Ebraismo) e da questo nulla culturale, ha poi potuto con uno sguardo totalmente imparziale, cercare il proprio rapporto con l’essenza divina. Solo in questo modo un’ebrea è potuta divenire una carmelitana. Solo attraverso l’imparzialità ha potuto divenire il simbolo della riconciliazione tra i due credi ed esaltare il senso della continuità tra la vecchia Alleanza e la nuova. L’ateismo cui Edith giunse a 13 anni, è non solo il passaggio obbligato di quasi tutti gli adolescenti alla ricerca di un personale approccio nella definizione della realtà, ma anche ignoranza, nel senso della mancanza della volontà di approfondire e di studiare la materia del divino; che è poi disinteresse verso lo studio della realtà in generale, dal momento che il Sommo è la realtà tutta e viceversa.


Edith rappresenta per me questa spinta alla conoscenza della verità assoluta attraverso la comparazione. Chi sostiene che sia obbligatorio abbracciare un solo credo o percorso filosofico per giungere in fine alla conoscenza o chi dice che l’a-religiosità di cui si è parlato in precedenza sia un percorso sbagliato, con Edith troverà certamente una netta smentita.


Come si è già detto: se Sommo Creatore è l’essenza della realtà, ogni cosa Lo esprime e perciò ogni credo è un atto di ricerca interconnesso a tutti gli altri, essendo tutto parte di un ecosistema in equilibrio. A questa deduzione giunse anche Edith.  


Lei sembrerebbe quasi implicitamente suggerire che se la religiosità viene intesa come identità, si commette un atto di supponenza, in quanto si esclude tutto il resto; se la religiosità si intende invece come percorso, l’identità non escluderà la comparazione e l’approfondimento del tutto che è divino. Da qui la differenza tra assimilazione e integrazione: si può essere, ad esempio, ebrei e chiedersi circa la natura del Cristo, come fece Edith, la quale testimoniò il proprio ricorso alle sue origini sia analizzando le Sacre Scritture (come filosofa più che come cristiana) e sia decidendo di morire infine con il suo popolo ad Auschwitz; ma come? Come ebrea o come cristiana?
In realtà come figlia di Israele, secondo la bellissima definizione che enunciò Giovanni Paolo II all’atto della canonizzazione di Edith; ebrei, cristiani e mussulmani sono tutti discendenti di Abramo. Quindi il Nazismo in realtà ha perseguitato direttamente la natura umana di Sommo Creatore. E i cristiani con la teoria della rincarnazione del divino nel Cristo, portano all’estremo questa integrazione divino – corpo, la comune sostanza che lega il divino all’umano.


Questo ultimo punto è un’intuizione molto importante per Edith. Il Sommo passa da essere dalla natura insondabile nel Vecchio Testamento e comprensibile solo attraverso l’adozione delle Sue Leggi (la procreazione come speranza di vedere realizzato il volere divino nelle generazioni successive; e il dominio del creato da parte dell’uomo, inteso anche come tutela dello stesso); ad essere, divenendo anche corpo con il Cristo, più vicino e a ribadire la Sua esistenza.


Da qui si ricollegano tutti i concetti base: il dolore non come fine ma come senso: cioè aiuta ad interpretare le interconnessioni del soprannaturale (cioè attraverso il dolore, l’uomo può interpretare la volontà divina); il sacrificio di Gesù morto per la redenzione dell’uomo, inteso come sopra: il dolore come atto di crescita e comprensione della volontà di Sommo Creatore; Gesù è l’uomo archetipo: vengono annullate le differenze tra i 2 sessi: sia nella condotta (Gesù parlava indistintamente sia agli uomini che alle donne e sia agli ebrei che ai non ebrei), che nella sua stessa natura (Gesù riabilita la donna, non più pendice dell’uomo: Eva nata dalla costola di Adamo; la donna è un soggetto con eguale dignità nell’evoluzione spirituale (in proposito, Edith critica fortemente alcuni assunti di San Paolo circa il ruolo di subalternità della donna rispetto all’uomo, dicendo che bisogna, quando si analizza qualsiasi teoria, distinguere sempre il pensiero umano dal pensiero divino: il San Paolo uomo, che ragiona secondo i modelli del suo tempo, dal San Paolo ispirato direttamente da Sommo Creatore); infine Gesù realizza il concetto del noi già annunciato nella Torà, quando si legge che l’uomo è fatto a immagine di Dio e nello specifico si utilizza il noi nel testo (quindi Dio ha una natura collettiva). Cosa significa il noi: prima di tutto Gesù rimarca spesso il concetto che io e tu sono la medesima cosa: tutti gli uomini sono sia individui che parte dell’ecosistema in equilibrio; e il noi è anche inteso come natura trina di Sommo (la Trinità: spirito, anima e corpo). Lo spirito è il Sommo Creatore: essenza immutabile (0 + 0) e puro amore; il corpo è la materia creata dalla volontà divina (0 – 0) e della materia il Cristo ne rappresenta la sua perfezione: colui che agisce perfettamente secondo le leggi divine; in questo senso Gesù è il figlio di Dio; l’anima è l’atto volontario e libero di collegare lo spirito alla materia (3): attraverso l’evoluzione della coscienza, l’anima dell’uomo può ricollegarsi alla sua fonte, lo spirito di Sommo Creatore; Gesù (ma anche Buddha, Maometto, ecc.) rincarna perfettamente questo passaggio: è la Tiferet per i cabalisti, è la buddhità per Siddharta; in poche parole: è la compassione: sentirsi parte del tutto, rinunciare al proprio ego e alla razionalità della coscienza per ricollegarsi all’ecosistema di cui siamo un tassello. La natura trina di Sommo: padre (lo spirito), figlio (il corpo) e lo spirito santo (l’anima che si rincarna attraverso la procreazione: maschio e femmina complementari); da qui la somiglianza con il concetto della rincarnazione buddhista, vista come rincarnazione della coscienza nell’evoluzione dell’umanità; e infine lo spirito santo di natura femminile, essendo la donna colei a cui è affidata la rincarnazione, attraverso la gestazione: la Malkhut dei cabalisti (la madre terra, in poche parole).

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