La Vergine dell'Islam
Propongo la lettura di un capitolo del mio romanzo "L'aria nelle narici" edito in formato ebook e cartaceo sul portale di Amazon Libri. In questo passo, racconto il senso della meditazione e parlo delle illusioni che la mente crea per distogliere l'anima dalla vera conoscenza universale:
"Il maestro e gli allievi si sdraiarono sulle coperte, che creavano
un cerchio sul prato. Chiusero gli occhi e portarono il respiro sul
bassoventre. Rilassarono i muscoli e le funzioni rallentarono. Chiusero gli
occhi.
—Osservate lo schermo nero senza cercare di visualizzare i
pensieri, ma semplicemente, ascoltate il loro flusso. Non è possibile
interrompere i pensieri —la voce di Guido era infantile—. Lasciate che la
gravità agisca sul corpo. Abbandonate i muscoli alla forza di attrazione della
terra.
Cominciarono ad arrivare gli odori dall’erba appassita. Il vento
piegava le punte dei pini. I rami scricchiolavano. I cumuli frusciavano. Anche
l’aria era un’unica massa, che scorreva sulle montagne per sgretolarsi sulle
rocce. Le foglie l’assorbivano, come stracci imbevuti di clorofilla.
I polmoni degli allievi si dilatarono tra le fragranze e i
movimenti. La terra attraeva i corpi con il dondolio prodotto dai battiti del
cuore, che sotto la nuca e nelle regioni declivi, produceva un tintinnio
regolare, che nell’inspirazione accelerava e nella espirazione rallentava. La
coscienza scese più in basso e coincise con la pelle che aderiva al terreno. A
questo punto, fu automatico entrare nella terra, tra i granelli e i propri
interstizi. Le venature profumate della terra e le mille sfumature. Le radici
dei pini distese, come mani sprofondate a raccogliere il nutrimento
direttamente dal suolo. La terra adesso respirava come un polmone asmatico che
si dilatava, spostando i pini leggermente sui lati: una volta indietro
nell’espirazione, e una volta in avanti nell’inspirazione. Al centro della
terra c’era una sfera luminosa, che Guido indicò e dentro la quale chiese di
entrare.
Galleggiavano contro le pareti di pellicola trasparente e con le
venature dorate. Gli allievi vi aderirono e i rumori prodotti da tutto il globo
e da tutti gli esseri viventi, più quelli dell’intero universo, filtrarono nei
pori della membrana, che ne distorceva le frequenze, per cui il contenuto non
era immediatamente comprensibile. Il liquido, in cui nuotavano come le rane,
vibrava: sembrava uno stagno pizzicato da cerchi concentrici, che si
mescolavano gli uni con gli altri.
—Osservate come le esistenze si intersecano e sono connesse
—commentò il maestro. Annamaria sospirò, quando le parve di riconoscere voci
femminili e il verso di un cervo. Giunsero le conversazioni delle città e tra
le città. Gli pneumatici che scorrevano sull’asfalto. Un cane che si grattava.
L’inclinazione impercettibile dell’asse terrestre, come quando si deforma una
tavola di legno sotto il sole. Il sollevamento della marea e le onde frizzanti.
Gli aerei di linea. Una stella nana stava morendo.
Quando il maestro lo chiese, gli allievi si posero sul fianco,
rannicchiandosi e restando sempre a occhi chiusi. Si sollevarono lentamente,
assumendo la posizione seduta. Incrociarono le gambe e cercarono la posizione
più adatta con la schiena, in modo che la colonna vertebrale si allineasse
all’apice del cranio. Il maestro aspettò che il respiro tornasse regolare.
—Fatevi aiutare dagli alberi –suggerì—. Ora, aprite gli occhi.
—Lentamente gli allievi sollevarono le palpebre— Cosa vedete? Non rispondete.
Osservate.
Gli oggetti avevano luminosità inedite. C’era un alone evanescente
intorno a ogni pino o stelo d’erba, e persino intorno ai cumuli. Sulle punte
dei pini l’alone era arancione e si faceva più intenso in controluce. Se lo si
fissava davanti agli altri alberi, l’alone poi assumeva nuance rossastre e in
basso rosso porpora. Una felicità senza obiettivo percuoteva lo stomaco e
Oliviero rideva a scatti. Tutti fissavano il paesaggio, come se lo vedessero
per la prima volta. Non era merito dell’alone. Era merito della gioia, che
faceva capolino e che pungeva alla base del collo. Esso si espandeva. Tutto era
vivo. Le pietre ad esempio possedevano una specifica vibrazione. Vi era un
rimando confuso di input di comunicazione, come schegge luminose spinte
nell’aria.
—Vi chiedo adesso di fissare il cielo.
Restando perfettamente fermi, cercarono per pochi secondi di
fissare il cielo con il terzo occhio, una pressione tra le sopracciglia.
Perciò, la visione non era ne frontale e né un po’ più su. La visione
coincideva quasi con la posizione dell’apice del capo, come se la fronte
cercasse di guardare sopra la testa.
—Abbassate gli occhi. Occorre allenamento e pazienza —esortò il
maestro—. Coraggio, ora riprovate.
Gli allievi risollevarono i globi oculari, in modo che la fronte
cercasse di vedere l’apice del capo.
—Sempre fissando il cielo in questo modo, con le mani rivolte al
cielo, ora vi chiedo di sollevare un piccolo peso dal ventre al volto.
Ciclicamente, ripetete l’operazione.
Eseguirono.
Le mani sollevavano realmente qualcosa, che dal ventre, come il
mercurio nel termometro, a piccoli balzi saliva lungo il canale centrale della
colonna vertebrale. Era come un liquido giallo molto denso, che produceva
sensazioni specifiche, a ogni passaggio. Nella cavità del bacino, produceva un
solletico. Allo stomaco, somigliava a un sasso lanciato nell’acqua, creando
imbuti spettacolari. Al cuore, una commozione e una dilatazione delle costole.
Al collo, un’altra dilatazione e un massaggio alle corde vocali e all’ugola.
Agli occhi, le vibrazioni passavano come onde evanescenti ma colorate e a bande
soffuse. Alla fronte, si sentiva la sensazione di una mano calda. Infine,
l’energia uscì dalla fontanella, come una colonna, che diradò nell’aria
circostante.
La coscienza pian piano si sdraiò sul cielo e la sensazione fu una
lievitazione anche del corpo. I pini scorrevano davanti agli allievi, spinti da
questo moto ascensionale, fino al punto, che ne videro le punte sotto i propri
piedi.
Anche Alberto guardò sotto di sé: il suo corpo se ne stava seduto
sulla coperta e dall’ombelico partiva un cordone argenteo, che terminava
nell’ombelico di questo corpo sospeso. Intorno a lui c’erano gli altri allievi
e il maestro. Inoltre, vide gli animali del bosco correre come biglie in ogni
direzione, spaventati dal movimento dell’aria prodotto dall’ascensione del
gruppo. Gli alberi ancora dondolavano vistosamente, mentre la polvere di neve
dal suolo si era sollevata come la farina davanti a una corrente d’aria. Orazio
ebbe paura vedendosi sospeso a mezz’aria e si dimenò spalancando gli occhi e le
braccia.
—Abbi fede —gli disse il maestro— non sei solo un corpo.
Ma Orazio continuò ad agitarsi. Pian piano ritornò nel corpo
seduto, che poi si accasciò privo di sensi sulla coperta.
—Non abbiate paura —esortò ancora il maestro.
Gli altri allievi erano rimasti interdetti dalla reazione di
Orazio.
—Piuttosto cosa sentite?
—Molta calma —sospirò Annamaria.
Le punte dei pini si radunavano in basso, perché il moto
ascensionale continuava. Il cielo abbracciava l’intera visione. Assomigliava ad
un oceano.
Annamaria era diventata improvvisamente seria.
Il maestro se ne accorse —Cosa c’è?
—Vedo delle immagini… penso che siano dei miei ricordi.
Il maestro spalancò gli occhi —E’ la mente razionale, che vuole
riprendere le redini. Allontanali. Sono tracce.
Annamaria puntava il vuoto, come quando si fissa distrattamente lo
schermo di un televisore. Anche lei tornò indietro, attraverso il cordone color
argento e Alberto vide in basso il corpo della ragazza, appena visibile tra i
tronchi, che sembravano tanti fiammiferi, accasciarsi sulla coperta con
le braccia e le gambe spalancate.
A questo punto, il volto del maestro tradiva sconforto— Quei due
non ricorderanno più nulla —disse con se stesso.
Oliviero aveva spalancato le braccia e sembrava che desiderasse
abbracciare qualcuno o qualcosa. Si avvicinò il maestro e gli chiese— Che cosa
vedi?
—Vedo la Madonna. Indossa un mantello turchese e l’abito bianco,
ha una fascia intorno ai fianchi e delle rose tra le dita dei piedi. Mi sta
sorridendo. Mi sta sorridendo e ha una voce meravigliosamente soave. Sento poi
dei cori di bambini e ora li vedo tra le nuvole, che sorreggono la Signora.
—Stai rendendo simbolica la tua gioia. Quest’immagine è prodotta
dalla tua mente. Non è reale.
Oliviero si girò verso il maestro con un’espressione severa—
Menti. Lei mi ama ed è qui. E’ la Mamma!
—Resta sulla sensazione, ti prego —esortò Guido con la tristezza
nel cuore.
Oliviero cominciò a scendere, continuando a fissare nel vuoto
l’immagine, che si allontanava nel cielo.
Alberto era rimasto da solo. Il maestro gli sorrideva— Tu non
costruisci niente?
—Capisco solamente adesso che Dio è sempre stato dentro di me.
La gioia scorreva tra le molecole del cielo e la gravità le teneva
nella giusta posizione. Dappertutto la forza creatrice attraeva la materia e la
direzione non era alimentata da un pensiero cosciente. Ogni cosa ne conteneva
la memoria e l’amore del primo atto divino. L’eco risuonava a unisono in tutto
l’universo, come una preghiera. La materia rendeva omaggio.".
Nessun commento:
Posta un commento