lunedì 24 novembre 2014

ACROSTICI - poesie

IL TEMPIO
(50x60 cm, tecnica mista su tela)

GLI ACROSTICI MALIGNI

I
Godevo nelle gengive; con la mano
ereggevo l’albero maestro in camera
rallentando il ritmo, sognando
armi distese nei cessi; poi
ricordavo quando all’infanzia bastava
dominare, strofinandosi sul ginocchio
o sul piede del parente che le parlava.

a Ilaria
II
Non lasciare avvizzire i capelli
se l’umidità volgare ti sarà
fatale. Credi agli spiriti superiori
che varcarono la vita
e non li riconoscesti.

III
Voi che guidate i bisogni della gente
indovinate ciò di cui ho bisogno!
Tanti provarono pena per il biondino
autistico seduto sulla sdraio.
Ma poi masturbandosi sognava prati
asimmetrici e il paradiso che lo aveva
linciato, imponendogli la realtà.
Indovinate ciò di cui ho bisogno!
Girandole in sere di pioggia.
Nidi caldi con genitori.
Alghe sotto le mattonelle.
Ai borghesi inculerei le loro figlie
magroline beneducate e serve;
e invoco l’era del sommo creatore;
navi erudite di libri di poesie;
zombi più vivi dei borghesi di paese;
orsi polari uccisi dai fucili;
girasoli che girano senza valori;
nanne di bimbi annoiati e stanchi.
A me che devo vivere nella menzogna.

IV
Sono il forno che non vuole far sapere
che il pane è bruciato. Vivo sulle strade
per osservare l’umanità che nei sottopassaggi
carezza. Ma quando esco
sento le voci e i passi della mia gente.
Qualcuno mi fissa dall’inquadratura dell’
ingresso; fa cenno con la testa che lo segua:
mentre scendo, l’ingresso taglia le
gambe.

V
Sotto la palpebra
scoscesa
c’è l’occhio vivo. Disteso dietro la
schiena, il braccio poggiato sulla
panchina. Ascolti con labbra sottili;
sulle tempie i capelli sono gonfi
e la magrezza del viso è giovanile.
Già siamo stanchi di vivere;
e respiri la mia nebbia
annoiata. Voglio protezione
e poi abbracciami come sai.

VI
Non credere facile
ascoltare la gente
quando tra i viali
sovrasta auto e semafori:
districarsi tra le vite;
flessibile nel giudizio;
e il desiderio di morire
per la noia; la solitudine
nei locali dalle pareti ocra
e le sedie; le fiere
i colori i vapori e il discorso
di chi pretende solidarietà
sulla piazzetta di fronte. Credo nell’
umanità che pensa libertà
tra cunicoli sotto le strade;
a prati con la città per fondale;
e all’intimo desiderio
d’immortalità.

VII
Vivo il forte disagio
del flauto traverso. Ma è
necessario che ogni tanto
lo suoni. Soffiarci
e non morderlo
per il tuo e il mio piacere.
Questo il sogno più alto:
il flauto traverso dentro
le labbra, quando tra pareti
ocra e bambini di carta
si sente la contrazione
dei glutei, mentre suona
il flauto traverso.
E traversare le strade
della città, con l’andatura
incerta
del ballo di flauto.

VIII
Sensazione di morto
se baciandoti sento
i fiori di camposanto. E’ il soffio
al cuore a sporcarti la pelle?
Ma sugli abiti sento l’incenso:
non abusare di me.
Al massimo
Salito sull’incudine che mi ponesti
ostentavo baldanzose oscenità;
nella camera mi compiacevo sempre; poi
offrivo all’amante del vicolo il canto:
faremo – dicevo – passeggiate sui prati
avendo tra le mani il pinzimonio
roteando il tuo matrimonio
baceremo la moglie gioviale.
Ora è ora di andare
come zombi dal demonio.
Coraggio, vieni a mangiare
datteri acidi nell’olio;
ieri credevo di sapere
e oggi mi va di sperimentare;
o sapere alla gente fa male.

X
Pensai che il paese fosse la mia giustizia
e che i cipressi indicassero i vapori.
Restai silenziosamente a fissare quella tomba
lavando il vetro dell’auto di famiglia.
Evocavo il passato dalla città assegnata
sperando che la vita fosse una corda tesa.
Trovai spesso scarafaggi sorpresi dalla mia commozione.
Ritornai in strada a fissare i sottopassaggi:
avrò percorso miliardi di chilometri con la scoliosi;
detto trecento miliardi di miliardi di frasi fatte
e pochissime frasi vere e sincere - perché sono un
principe simulatore; avrò respirato più aria-urina; e
avrò sorriso toccando gli amici tra le colonne. Respirai
ricordo – aliti cariati nei cessi pubblici;
lesinai carezze mentre l’acqua sporca cadeva nei tombini;
ordinai che l’amante godesse a scatti e mi ascoltasse;
ansimai nelle auto mentre mia madre lavorava.
Indovina se sono sempre stato così: la natura vuole
mortificare chi sognava torri e lacci emostatici.
Offrirò sentori a chi credette di capirmi mescolando;
ridarò dignità anche ai diseredati che godono;
ti prenderò la pelle chiusa tra le rotaie;
indovinerò perché mi bacerai quando piangerò per te.


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