IL TEMPIO
(50x60 cm, tecnica mista su tela)
GLI ACROSTICI MALIGNI
I
Godevo nelle
gengive; con la mano
ereggevo l’albero
maestro in camera
rallentando il
ritmo, sognando
armi distese nei
cessi; poi
ricordavo quando
all’infanzia bastava
dominare,
strofinandosi sul ginocchio
o sul piede del
parente che le parlava.
a
Ilaria
II
Non lasciare
avvizzire i capelli
se l’umidità
volgare ti sarà
fatale. Credi
agli spiriti superiori
che varcarono la
vita
e non li
riconoscesti.
III
Voi che guidate i
bisogni della gente
indovinate ciò
di cui ho bisogno!
Tanti provarono
pena per il biondino
autistico seduto
sulla sdraio.
Ma poi
masturbandosi sognava prati
asimmetrici e il
paradiso che lo aveva
linciato,
imponendogli la realtà.
Indovinate ciò
di cui ho bisogno!
Girandole in sere
di pioggia.
Nidi caldi con
genitori.
Alghe sotto le
mattonelle.
Ai borghesi
inculerei
le loro figlie
magroline
beneducate e serve;
e invoco l’era
del sommo creatore;
navi erudite di
libri di poesie;
zombi più vivi
dei borghesi di paese;
orsi polari
uccisi dai fucili;
girasoli che
girano senza valori;
nanne di bimbi
annoiati e stanchi.
A me che devo
vivere nella menzogna.
IV
Sono il forno che
non vuole far sapere
che il pane è
bruciato. Vivo sulle strade
per osservare
l’umanità che nei sottopassaggi
carezza. Ma
quando esco
sento le voci e i
passi della mia gente.
Qualcuno mi fissa
dall’inquadratura dell’
ingresso; fa
cenno con la testa che lo segua:
mentre scendo,
l’ingresso taglia le
gambe.
V
Sotto la palpebra
scoscesa
c’è l’occhio
vivo. Disteso dietro la
schiena, il
braccio poggiato sulla
panchina. Ascolti
con labbra sottili;
sulle tempie i
capelli sono gonfi
e la magrezza del
viso è giovanile.
Già siamo
stanchi di vivere;
e respiri la mia
nebbia
annoiata. Voglio
protezione
e poi abbracciami
come sai.
VI
Non credere
facile
ascoltare la
gente
quando tra i
viali
sovrasta auto e
semafori:
districarsi tra
le vite;
flessibile nel
giudizio;
e il desiderio di
morire
per la noia; la
solitudine
nei locali dalle
pareti ocra
e le sedie; le
fiere
i colori i
vapori e il discorso
di chi pretende
solidarietà
sulla piazzetta
di fronte. Credo nell’
umanità che
pensa libertà
tra cunicoli
sotto le strade;
a prati con la
città per fondale;
e all’intimo
desiderio
d’immortalità.
VII
Vivo il forte
disagio
del flauto
traverso. Ma è
necessario che
ogni tanto
lo suoni.
Soffiarci
e non morderlo
per il tuo e il
mio piacere.
Questo il sogno
più alto:
il flauto
traverso dentro
le labbra, quando
tra pareti
ocra e bambini di
carta
si sente la
contrazione
dei glutei,
mentre suona
il flauto
traverso.
E traversare le
strade
della città, con
l’andatura
incerta
del ballo di
flauto.
VIII
Sensazione di
morto
se baciandoti
sento
i fiori di
camposanto. E’ il soffio
al cuore a
sporcarti la pelle?
Ma sugli abiti
sento l’incenso:
non abusare di me.
Al massimo
Salito
sull’incudine che mi ponesti
ostentavo
baldanzose oscenità;
nella camera mi
compiacevo sempre; poi
offrivo
all’amante del vicolo il canto:
faremo – dicevo
– passeggiate sui prati
avendo tra le
mani il pinzimonio
roteando il tuo
matrimonio
baceremo la
moglie gioviale.
Ora è ora di
andare
come zombi dal
demonio.
Coraggio, vieni a
mangiare
datteri acidi
nell’olio;
ieri credevo di
sapere
e oggi mi va di
sperimentare;
o sapere alla
gente fa male.
X
Pensai che il
paese fosse la mia giustizia
e che i cipressi
indicassero i vapori.
Restai
silenziosamente a fissare quella tomba
lavando il vetro
dell’auto di famiglia.
Evocavo il
passato dalla città assegnata
sperando che la
vita fosse una corda tesa.
Trovai spesso
scarafaggi sorpresi dalla mia commozione.
Ritornai in
strada a fissare i sottopassaggi:
avrò percorso
miliardi di chilometri con la scoliosi;
detto trecento
miliardi di miliardi di frasi fatte
e pochissime
frasi vere e sincere - perché sono un
principe
simulatore; avrò respirato più aria-urina; e
avrò sorriso
toccando gli amici tra le colonne. Respirai
ricordo – aliti
cariati nei cessi pubblici;
lesinai carezze
mentre l’acqua sporca cadeva nei tombini;
ordinai che
l’amante godesse a scatti e mi ascoltasse;
ansimai nelle
auto mentre mia madre lavorava.
Indovina se sono
sempre stato così: la natura vuole
mortificare chi
sognava torri e lacci emostatici.
Offrirò sentori
a chi credette di capirmi mescolando;
ridarò dignità
anche ai diseredati che godono;
ti prenderò la
pelle chiusa tra le rotaie;
indovinerò
perché mi bacerai quando piangerò per te.
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